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Ultimo Aggiornamento: 10/01/2017 12:46
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09/01/2017 12:11

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DOCUMENTO POLITICO PER UNA SINISTRA CHE RIPARTE DAI TERRITORI

Nell’epoca in cui in apparenza tutto è raggiungibile (culturalmente, economicamente, geograficamente) ci si accorge in forma materica che la realtà pone molti più limiti di quelli che il cittadino percepisce.

Quando si pensava di poter vivere nel mito di un costante e progressivo benessere diffuso ci si è accorti che anche nel terzo millennio le mitologie hanno poco a che fare con la concretezza delle problematiche in essere.
Ad un certo punto ci hanno (chi? Sarebbe da chiedersi) raccontato che liberalizzando ogni cosa, dal lavoro alle utenze, dalle vie di comunicazione ai beni primari, si poteva vivere meglio. Ovviamente era una grande menzogna planetaria soprattutto se riportata alla logica e alla storia poco virtuosa del sistema Italia.
La destrutturazione di un paese intero, avvenuta senza quasi opporre resistenza, è iniziata a metà degli anni ’90 con la complicità, se non con forme di assoluto protagonismo, della cosiddetta sinistra italiana. Il percorso di modifica in forma liberista dello stato è ancora in corso, ma va sottolineato come esso abbia avuto una accelerazione dal momento in cui, con la nascita del Partito Democratico, anche l’ala cosiddetta progressista ha voluto rincorrere un modello politico di natura non affine alla storia italiana.

Il tentativo di trasformazione del contesto politico in una sorta di bipartitismo è la dimostrazione di come si è tentato di alleggerire, con il rischio di farla deperire, la forma democratica. Il nodo della questione è che promotore di questa destrutturazione è spesso stato quel mondo dirigenziale di sinistra che ormai dei valori sociali storici ha conservato ben poco.

Le vicende politiche italiane degli ultimi anni ci hanno detto alcune cose importanti.
1) Fino alla consultazione sul referendum costituzionale del 4 dicembre 2016 era in atto una progressiva defluenza dei cittadini italiani dal voto.
2) Questa defluenza era in parte causata da una mancata rappresentanza e in altra parte da una crescente disillusione del cittadino rispetto al peso reale del suo singolo voto.
3) La divisione della sinistra italiana ha permesso la nascita di partiti che si sono appropriati dell’aura progressista senza poi agire politiche adeguate al mandato che era stato loro affidato.
4) A fronte della nascita di un partito privo di ideologia e culturalmente ecumenico la sinistra italiana non è stata capace di annusare il momento e ha perseverato in logiche di egoismi pur di mantenere micro poteri o ancora peggio false paternità ideologiche. 5) La divisione della sinistra italiana è causa, e non conseguenza, delle politiche centriste e consociative del Partito Democratico.
6) Se si vuole, dopo decenni, dare rappresentanza al popolo della sinistra che non va più a votare, che vota con amarezza proposte non del tutto proprie, che vota affidandosi a suggestioni populiste, che non si riconosce in modalità politiche capaci solo di ricercare il consenso senza dare nessun valore alla progettazione è necessario far partire una mobilitazione dal basso capace di essere inclusiva, popolare e riconoscibile; una mobilitazione di donne e di uomini accomunati nell’essere forza Comune e dall’avere volontà di recuperare le tradizioni della sinistra italiana coniugandole al presente.

La formazione dal basso che nascerà dovrà prendersi la responsabilità di reinventare un modo di fare politica a sinistra. Sarà necessario rimettersi a studiare, conoscere il panorama sociale, economico, lavorativo e anche culturale. Sarà necessario comprendere, per poterle superare, le logiche dell’unità attraverso l’egemonia. Sarà necessario riprendere i contatti con le realtà di base: dal mondo delle associazioni a quello sindacale, dalle strutture storiche come Anpi, Arci, Istituti Storici della Resistenza a quelle informali come movimenti di base, centri socio culturali, circoli privati. Studiare e conoscere ci permetterà di acquisire gli anticorpi alla più grave e perdurante malattia della sinistra, quella della frammentazione.

La questione del dove e come svolgere attività politica è una questione centrale. Servono luoghi dove fa emergere il confronto, dove stimolare e sviluppare la discussione e dove si possa ipotizzare anche la nascita di una scuola politica incentrata sull’approfondimento. Conoscere la nostra storia e trarre beneficio da questa conoscenza, avere una visione lucida e razionale dei problemi del contemporaneo per ipotizzare strategie di risoluzione. Disinnescare la formula della competizione per incentivare quella della collaborazione.

Temi cardine del nostro agire saranno:
1) La riduzione al massimo del lavoro precario e laddove restino sacche di lavoro precario estendere le tutele dei lavoratori dipendenti anche ai lavoratori precari

2) La tutela dell’ambiente con particolare attenzione alla questione della ricerca sulle fonti di energia rinnovabile. Investimenti in tal senso creerebbero un notevole spazio di lavoro

3) La rivisitazione delle politiche sull’immigrazione oggi definite ancora da una legge denominata “Bossi – Fini” che solo dal nome spiegherebbe già tutto, ma che oggettivamente andrebbe modificata attraverso un modello di coesione sociale tra offerta e domanda di lavoro.
Il tema dell’immigrazione in Italia è fonte di speculazione politica e non viene mai raccontato attraverso i dati reali. Le facili suggestioni attraverso cui si associano i problemi dei cittadini italiani con l’aumento dei fenomeni migratori devono essere smontate e riformulate attraverso una visione reale e quindi solidale del fenomeno.

4) La promozione e la valorizzazione della scuola e della sanità pubblica, partendo da una razionalizzazione dei costi legati a fattori di clientela o anche criminali favorendo al contrario una tutela del malato e una valorizzazione del dipendente rispetto alla sanità; una tutela del diritto allo studio e una valorizzazione delle competenze del corpo docente per ciò che riguarda la scuola e l’università.

5) Preservare e valorizzare i beni culturali di natura pubblica valorizzandoli in modo tale da trasformarli in fonte di posti di lavoro.

6) In ultimo, in quanto perno dell’azione politica, va ribadito e consolidato il valore dell’antifascismo che in questo periodo storico bisogna avere il coraggio di declinare al plurale cioè siamo contro tutti i fascismi presenti, futuri e passati.


Per fare tutto questo è necessario cercare nuove forme di mobilitazione e agire politico, è necessario battere le nuove strade della comunicazione, della socialità, del concetto di bene comune.

Dato che diamo un valore altissimo alla parola come forma privilegiata di comunicazione, è giusto cominciare con il reinterpretare e ridefinire in ottica contemporanea il senso dei vocaboli e dei concetti che storicamente determinano i valori del socialismo. Che significato hanno le parole uguaglianza, libertà e socialità nell’epoca di internet? Che rapporto c’è tra modernità e territorio? Come il territorio può far presenti le proprie istanze? Come può ottenere l’attenzione necessaria per lo sviluppo economico, culturale e sociale in un periodo in cui tutto ha valore globale?

L’idea principe è quella di costruire una nuova rete politica su base territoriale che abbia il riconoscimeto reciproco e la solidarietà come principio fondativo di coesione sociale. Una solidarietà che tiene conto dei centri urbani minori, soprattutto ora che sono stati colpiti dal disastro del terremoto, e delle periferie dei grandi centri, che li agevola nella ricostruzione attraverso i principi della ecosostenibilità e della prevenzione, che li incentiva a formare e dotarsi di operatori sociali e culturali come antidoto allo spopolamento, il tutto da associare a una nuova politica di edilizia popolare, di incentivi nei confronti dell’artigianato e di nuova politica di equilibrio da fare sui salari.

Il territorio dovrà essere reiventato e poi vissuto come una risorsa attraverso l’idea di turismo e cultura ecosostenbili che se ben interpretati potrebbero rappresentare la vera rivoluzione sociale ed economica per interi territori.

Il passaggio da un’economia industriale ad un’economia di servizi, turismo, enogastronomia e cultura (produzione culturale e beni culturali) è un dato di fatto e non una proiezione futura.
Il tema culturale in particolare va vissuto con estrema attenzione in quanto è ora più che mai necessario comprendere che la cultura è un beneficio sociale immateriale e pertanto va sostenuto anche economicamente - non soltanto promosso come fonte di nuova economia.

Occorre che il sostegno pubblico sia riservato non più ai colossi bancari che hanno predato il piccolo risparmio e prosciugato gli investimenti pubblici per il progresso civile e sociale, bensì a progetti locali e territoriali, aperti al mondo, anche su scala internazionale ma profondamente radicati nel territorio in termini di risorse impiegate e di risultati economici.

Senza scivolare nei luoghi comuni secondo cui “piccolo è bello” e senza indulgere al localismo e al provincialismo, occorre però affermare con nettezza che deve esser ricreata una rete delle economie locali, con le caratteristiche di ricchezza e varietà che caratterizzano le competenze e le specificità della nostra regione e più in generale dell’intera penisola italiana.
Protagonista di questa rivoluzione economica incentrata sui valori umani, dove l’economia è a servizio delle persone e non viceversa, saranno quelle giovani generazioni cancellate dalla globalizzazione e dal feroce liberismo mondiale.

Questa filosofia spietata non ci ha convinti né piegati. Non ci siamo rassegnati, non abbiamo perso lucidità nella consapevolezza che questo progetto di sfruttamento e di distruzione degli individui deve essere respinto perché è solo foriero di miseria, di guerre e di sopraffazione. Siamo in grado di vedere un mondo diverso, di concepire e lavorare per un progetto diverso.

Nell’ottica della valorizzazione del territorio altro tema base e fondamentale è quello del trasporto pubblico come priorità. Studi passati redatti da eminenti ricercatori ed economisti hanno fatto comprendere come, con investimenti relativamente bassi, si potrebbe mettere in moto un circolo virtuoso che metta insieme le nuove forme di trasporto su rotaia nei collegamenti tra piccoli centri (vedasi come esempio l’ipotetica e utilissima metropolitana di superficie lungo la quasi dismessa linea ferroviaria Civitanova Marche – Fabriano).

Fuori dalle intenzioni innumerevoli volte professate ma mai realizzate, intendiamo affermare che l’entroterra del nostro territorio ha un bisogno vitale di uscire dall’isolamento e dalla inadeguatezza delle infrastrutture. Quelle viarie recentemente inaugurate non sono sufficienti a rispondere al fabbisogno di una comunità mondiale che si sposta e che desidera conoscere le nostre zone e l’unicità dei suoi tanti valori.
L’assenza di una rete di trasporto pubblico moderna sta condannando questo territorio all’arretratezza, moltiplicando gli effetti di una crisi economica di dimensioni storiche. La modernità e l’evoluzione dei saperi conducono alla possibilità di accedere a soluzioni dai costi sostenibili e compatibili con il rispetto per i beni naturali e paesaggistici. Non servono nuovi cementificatori, ma tecnici competenti e innovativi e politici umili, responsabili e con una visione profonda del futuro.

Questo stringato documento vuole essere da stimolo nei confronti di tutti coloro che si stanno chiedendo come e cosa fare per rimettere in moto le motivazioni di chi crede in una società egualitaria, solidale e sociale; non è un diktat del tipo “questo è quello che c’è da fare”, ma al contrario è un punto di partenza per creare le condizioni per cui il popolo della sinistra possa cominciare a discutere anche nei territori, anche dal basso.

Ciò che più ci manca, quindi, sono proprio i luoghi di discussione, quegli spazi politici e quegli strumenti dove i cittadini possano esprimere le proprie opinioni e dove democraticamente le stesse potranno e dovranno essere rappresentate e trasformate in istanze sociali, politiche e culturali da rendere universali.

Per la prima volta a sinistra si inverte la procedura, e cioè non c’è qualcuno che va dalle associazioni, dai gruppi organizzati, dal singolo cittadino a dire cosa bisogna fare ma, al contrario, va a chiedere al cittadino cosa e come fare per realizzare insieme un modello sociale progressista che sia fonte di benessere per tutti.

Ciò in cui crediamo è una democrazia capace di tutelare le minoranze ed eleggere persone che vogliono prendersi la responsabilità di organizzare la progettazione partecipata dei territori e dello stato. I nostri riferimenti politici devono tornare a vedere la politica come un servizio reso alla comunità.
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10/01/2017 12:46

Versione con modifiche Tullio
DOCUMENTO POLITICO PER UNA SINISTRA CHE RIPARTE DAI TERRITORI

Nell’epoca in cui in apparenza tutto è raggiungibile (culturalmente, economicamente, geograficamente) ci si accorge in forma materica che la realtà pone molti più limiti di quelli che il cittadino percepisce. Quando si pensava di poter vivere nel mito di un costante e progressivo benessere diffuso ci si è accorti che anche nel terzo millennio le mitologie hanno poco a che fare con la concretezza delle problematiche in essere. Ad un certo punto ci hanno (chi? Sarebbe da chiedersi) raccontato che liberalizzando ogni cosa, dal lavoro alle utenze, dalle vie di comunicazione ai beni primari, si poteva vivere meglio. Ovviamente era una grande menzogna planetaria soprattutto se riportata alla logica e alla storia poco virtuosa del sistema Italia. La destrutturazione di un paese intero, avvenuta senza quasi opporre resistenza, è iniziata a metà degli anni ’90 con il consenso se non con forme di assoluto protagonismo, del quadro dirigente della sinistra italiana. Il percorso di modifica in forma liberista dello Stato è ancora in corso ma va sottolineato come esso abbia avuto una accelerazione dal momento in cui, con la nascita del Partito Democratico, anche l’ala cosiddetta progressista ha voluto rincorrere un modello politico di natura non affine alla storia italiana. Il tentativo di trasformazione del contesto politico in una sorta di bipartitismo è la dimostrazione di come si è tentato di alleggerire, con il rischio di farla deperire, la forma democratica. Il nodo della questione è che promotore di questa destrutturazione è spesso stato quel mondo dirigenziale di sinistra che ormai dei valori sociali storici della sinistra ha conservato ben poco, riducendo la governabilità sempre più ad una questione di tecnica decisionistica, separandola da quella pratica partecipativa della rappresentanza sociale e politica sulla quale storicamente la sinistra ha costruito i suoi valori, contribuendo anzi a indebolire lo stesso significato della parola Sinistra, oggi percepita da molti come qualcosa di negativo o di vetusto.
Le vicende politiche italiane degli ultimi anni ci hanno detto alcune cose importanti.
1) Fino alla consultazione sul referendum costituzionale del 4 dicembre 2016 era in atto una progressiva defluenza dei cittadini italiani dal voto (con la sola parziale eccezione del referendum 2011 per l’acqua bene comune).
2) Questa defluenza era in parte causata da una mancata rappresentanza e in altra parte da una crescente disillusione del cittadino rispetto al peso reale del suo singolo voto
3) La divisione della sinistra italiana ha permesso la nascita di partiti che si sono appropriati dell’aurea progressista senza poi agire politiche adeguate al mandato che era stato loro affidato.
NOTA: Non mi è chiaro questo punto: a chi si allude?
4) A fronte della nascita di un partito privo di ideologia e culturalmente ecumenico i quadri dirigenti della sinistra storica italiana non sono stati capaci o non hanno voluto comprendere il momento e hanno perseverato in logiche particolaristiche pur di mantenere micro poteri o ancora peggio paternità ideologiche in esclusiva.
5) La divisione della sinistra italiana è causa e non conseguenza delle politiche centriste e consociative del Partito Democratico.
6) Se si vuole, dopo decenni, restituire alla rappresentanza strumenti reali di partecipazione e di espressione dei bisogni a quei gruppi sociali e realtà maggiormente colpite dai processi in atto e sempre più escluse, che gradualmente non vanno più a votare o che vota con amarezza proposte non del tutto proprie, o che non trova di meglio che affidarsi a suggestioni populiste, che non si riconoscono più in modalità politiche capaci solo di ricercare il consenso, è necessario individuare nuovi modelli di rappresentanza attraverso forme di progettazione partecipata, sostenuta da una mobilitazione dal basso capace di essere inclusiva, popolare e riconoscibile; una mobilitazione di donne e di uomini accomunati nell’essere forza Comune e dall’avere volontà di recuperare i valori della sinistra reinterpretandoli al presente.
La formazione dal basso che nascerà dovrà prendersi la responsabilità di rivitalizzare un modo di fare politica a sinistra attraverso la partecipazione. Sarà necessario rimettersi a studiare, conoscere il panorama sociale, economico, lavorativo e anche culturale, le realtà sociali che già esistono e cercano una forma di rappresentanza. Sarà necessario comprendere, per poterle superare, le logiche di una unità ricercata solo attraverso l’egemonia e che non mette in primo piano il confronto tra le realtà di base. Sarà necessario riprendere i contatti con le realtà di base: dal mondo delle associazioni a quello sindacale, sia delle strutture storiche come Anpi, Arci, Istituti Sorici della Resistenza, sia in particolare di quelle informali come movimenti di base, centri socio culturali, circoli privati. Studiare e conoscere, non in senso accademico ma attraverso il confronto diretto, ci permetterà di acquisire gli anticorpi alla più grave e perdurante malattia che la sinistra troppo spesso ha dimostrato, quella della frammentazione.
La questione del DOVE e COME svolgere attività politica è una questione centrale. Servono luoghi, spazi e procedure di agibilità politica dove far emergere il confronto, dove stimolare e sviluppare la discussione e dove si possa ipotizzare anche la nascita di una scuola politica incentrata sull’approfondimento e sul confronto delle esperienze di base (un tempo si diceva sulle forme e sui risultati delle lotte). Conoscere la nostra storia e trarre beneficio da questa conoscenza, avere una visione lucida e razionale dei problemi del contemporaneo per ipotizzare strategie di risoluzione. Disinnescare la formula della competizione per incentivare quella della collaborazione.
Temi cardine del nostro agire saranno:
1) La riduzione al massimo del lavoro precario e laddove restino sacche di lavoro precario estendere le tutele dei lavoratori dipendenti anche ai lavoratori precari
2) La tutela dell’ambiente con particolare attenzione alla questione della ricerca sulle fonti di energia rinnovabile. Investimenti in tal senso creerebbero un notevole spazio di lavoro
3) La rivisitazione delle politiche sull’immigrazione oggi definite ancora da una legge denominata “Bossi – Fini” che solo dal nome spiegherebbe già tutto ma che oggettivamente andrebbe modificata attraverso un modello di coesione sociale tra offerta e domanda di lavoro. Il tema dell’immigrazione in Italia è fonte di speculazione politica e non viene mai raccontato attraverso i dati reali. Le facili suggestioni attraverso cui si associano i problemi dei cittadini italiani con l’aumento dei fenomeni migratori devono essere smontate e riformulate attraverso una visione reale e quindi solidale del fenomeno.
4) La promozione e la valorizzazione della scuola e della sanità pubblica, partendo da una razionalizzazione dei costi legati a fattori di clientela o anche criminali favorendo al contrario una tutela del malato e una valorizzazione del dipendente rispetto alla sanità; una tutela del diritto allo studio e una valorizzazione delle competenze del corpo docente per ciò che riguarda la scuola e l’università.
5) Preservare e valorizzare i beni culturali di natura pubblica valorizzandoli in modo tale da trasformarli in fonte di posti di lavoro.
6) In ultimo in quanto perno dell’azione politica va ribadito e consolidato il valore dell’antifascismo che in questo periodo storico bisogna avere il coraggio di declinare al plurale cioè siamo contro tutti i fascismi presenti, futuri e passati.
Per fare tutto questo è necessario cercare nuove forme di mobilitazione e agire politico, è necessario battere le nuove strade della comunicazione, della socialità, del concetto di bene comune e di nuovi stili di vita, prestare la massima attenzione alla comprensione delle complesse trasformazioni sociali, politiche, economiche e culturali in corso, che stanno disegnando scenari di cui è difficile prevedere i nuovi assetti.

Dato che diamo un valore altissimo alla PAROLA come forma privilegiata di comunicazione è giusto cominciare con il reinterpretare e ridefinire in ottica contemporanea il senso dei vocaboli e dei concetti che storicamente determinano i valori del Socialismo. Che significato hanno le parole uguaglianza, libertà e socialità nell’epoca di internet? Che rapporto c’è tra modernità e territorio? Come il territorio può far presenti le proprie istanze? Come può ottenere l’attenzione necessaria per lo sviluppo economico, culturale e sociale in un periodo in cui tutto ha valore globale? L’idea principe è quella di costruire una nuova rete politica su base territoriale che abbia il riconoscimeto reciproco e la solidarietà come principio fondativo di coesione sociale. Una solidarietà che tiene conto dei centri urbani minori, soprattutto ora che sono stati colpiti dal disastro del terremoto, e delle periferie dei grandi centri, che li agevola nella ricostruzione attraverso i principi della eco sostenibilità e della prevenzione, che li incentiva a formare e dotarsi di operatori sociali e culturali come antidoto allo spopolamento il tutto da associare a una nuova politica di edilizia popolare, di incentivi nei confronti dell’artigianato e di nuova politica di equilibrio da fare sui salari.
Il territorio dovrà essere reiventato e poi vissuto come una risorsa attraverso l’idea di turismo e cultura ecosostenbili che se ben interpretati potrebbero rappresentare la vera rivoluzione sociale ed economica per interi territori. Il passaggio da un’economia industriale ad un’economia di servizi, turismo, enogastronomia e cultura (produzione culturale e beni culturali) è un dato di fatto e non una proiezione futura. Il tema culturale in particolare va vissuto con estrema attenzione in quanto è ora più che mai necessario comprendere che la cultura è un beneficio sociale immateriale e per tanto va sostenuto anche economicamente e non soltanto promosso come fonte di nuova economia.
Occorre che il sostegno pubblico sia riservato non più ai colossi bancari che hanno predato il piccolo risparmio e prosciugato gli investimenti pubblici per il progresso civile e sociale, bensì a progetti locali e territoriali, aperti al mondo, anche su scala internazionale ma profondamente radicati nel territorio in termini di risorse impiegate e di risultati economici. Senza scivolare nei luoghi comuni secondo cui “piccolo è bello” e senza indulgere al localismo e al provincialismo, occorre però affermare con nettezza che deve esser ricreata una rete delle economie locali, con le caratteristiche di ricchezza e varietà che caratterizzano le competenze e le specificità della nostra regione e più in generale dell’intera penisola italiana. Protagonista di questa rivoluzione economica incentrata sui valori umani, dove l’economia è a servizio delle persone e non viceversa, saranno quelle giovani generazioni cancellate dalla globalizzazione e dal feroce liberismo mondiale.
Questa filosofia spietata non ci ha convinti né piegati. Non ci siamo rassegnati, non abbiamo perso lucidità nella consapevolezza che questo progetto di sfruttamento e di distruzione degli individui deve essere respinto perché è solo foriero di miseria, di guerre e di sopraffazione. Siamo in grado di vedere un mondo diverso, di concepire e lavorare per un progetto diverso.
Nell’ottica della valorizzazione del territorio altro tema base e fondamentale è quello del trasporto pubblico come priorità. Studi passati redatti da eminenti ricercatori ed economisti hanno fatto comprendere come con investimenti relativamente bassi si potrebbe mettere in moto un circolo virtuoso che mette insieme le nuove forme di trasporto su rotaia nei collegamenti tra piccoli centri (vedasi come esempio l’ipotetica e utilissima metropolitana di superficie lungo la quasi dismessa linea ferroviaria Civitanova Marche – Fabriano). Fuori dalle intenzioni innumerevoli volte professate ma mai realizzate, intendiamo affermare che l’entroterra del nostro territorio ha un bisogno vitale di uscire dall’isolamento e dalla inadeguatezza delle infrastrutture. Quelle viarie recentemente inaugurate non sono sufficienti a rispondere al fabbisogno di una comunità mondiale che si sposta e che desidera conoscere le nostre zone e l’unicità dei suoi tanti valori. L’assenza di una rete di trasporto pubblico moderna sta condannando questo territorio all’arretratezza, moltiplicando gli effetti di una crisi economica di dimensioni storiche. La modernità e l’evoluzione dei saperi conducono alla possibilità di accedere a soluzioni dai costi sostenibili e compatibili con il rispetto per i beni naturali e paesaggistici. Non servono nuovi cementificatori, ma tecnici competenti e innovativi e politici umili, responsabili e con una visione profonda del futuro.

Questo stringato documento vuole essere da stimolo nei confronti di tutti coloro che si stanno chiedendo come e cosa fare per rimettere in moto le motivazioni di chi crede in una società egualitaria, solidale e sociale; non è un diktat del tipo “questo è quello che c’è da fare” ma al contrario è un punto di partenza per creare le condizioni per cui il popolo della sinistra possa cominciare a discutere anche nei territori, anche dal basso.
Ciò che più ci manca quindi sono proprio i luoghi di discussione, quegli spazi politici e quegli strumenti dove i cittadini possano esprimere le proprie opinioni e dove democraticamente le stesse potranno e dovranno essere rappresentate e trasformate in istanze sociali, politiche e culturali da rendere universali.

Per la prima volta a sinistra si inverte la procedura e cioè non c’è qualcuno che va dalle associazioni, dai gruppi organizzati, dal singolo cittadino a dire cosa bisogna fare ma al contrario va a chiedere al cittadino cosa e come fare per realizzare insieme un modello sociale progressista che sia fonte di benessere per tutti.

Ciò in cui crediamo è una democrazia capace di tutelare le minoranze ed eleggere persone che vogliono prendersi la responsabilità di organizzare la progettazione partecipata dei territori e dello stato. I nostri riferimenti politici devono tornare a vedere la Politica come un servizio reso alla comunità.
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